Essere donne oggi

le donne

Essere donne oggi. La vera sfida per le donne è quella di diventare consapevoli del proprio valore e svolgere un ruolo di guida attraverso un periodo di profondi cambiamenti.

Essere buone, belle e brave. Questo è l’imperativo che spinge le donne fin da piccole a mettersi in discussione, a migliorare costantemente superando i loro limiti, a essere attente ai bisogni dell’altro. Spesso, purtroppo, il prezzo di questa tensione alla perfezione è molto alto. Tanto alto da fargli perdere di vista chi sono davvero, nel tentativo di conformarsi alle aspettative degli altri.

Per molte donne l’amore incondizionato verso se stesse non è affatto scontato. É una conquista che arriva al termine di un percorso di evoluzione personale.

“Merito davvero di essere amata?”

Spesso questo interrogativo inconscio è cruciale nella vita di una donna. La risposta – altrettanto inconsapevole –  influenza in modo determinante la sua vita e le sue relazioni.

“Quando sarò abbastanza magra, quando sarò abbastanza brava… solo allora sarò meritevole di essere amata”.

Convinzioni di questo tipo sono delle vere e proprie zavorre che rallentano il cammino verso la nostra realizzazione personale e ci allontanano dalla felicità.

Quando non percepiamo il valore che nasce dalla nostra unicità ed esiste a prescindere dai riconoscimenti esterni, facciamo entrare una grande sofferenza della nostra vita.

Cominciamo a dubitare di essere “abbastanza” in ogni ambito della nostra vita e diventiamo schiave dell’approvazione altrui, rinunciando di fatto alla nostra libertà.

Questa insicurezza si riflette negativamente non solo nelle relazioni ma anche in ambito lavorativo. Ci può portare ad accettare compromessi sul lavoro, a giustificare un uomo che non ci rispetta o che addirittura compie atti di violenza fisica o psicologica, a trascurare la cura di noi stesse, a portare avanti una relazione solo per paura della solitudine o a mettere da parte i nostri sogni perché crediamo di non essere all’altezza di farli diventare realtà.

Dal movimento di denuncia #wetoo ai casi di femminicidio, i fatti di cronaca ci raccontano della difficoltà che spesso le donne incontrano nel denunciare episodi di violenza o molestie sessuali. Il cattivo consigliere in questi casi non è solo la scarsa autostima ma anche il senso di colpa che spesso la accompagna.

“La colpa è mia che l’ho provocato… la colpa è mia che non sono stata in grado di fermarlo… se lo lascio soffrirà”.

Quando una donna non si sente meritevole di essere amata, tende a colpevolizzarsi rispetto a ciò che le accade di negativo, come se tutto dipendesse da lei.

Del resto anche una parte dell’opinione pubblica, nei casi di moleste sessuali, finisce per puntare il dito contro l’abbigliamento troppo provocante della malcapitata. Altre volte, come nel caso Weinstein, per minimizzare si fa leva sui presunti benefìci che la vittima avrebbe ottenuto in cambio del suo silenzio.

Da cosa nasce questa difficoltà delle donne nel percepire il proprio valore?

I retaggi della cultura patriarcale che relegava le donne al ruolo di “angelo del focolare” influenzano ancora oggi l’educazione che le bambine ricevono dalla famiglia ma soprattutto dalla società.

Il più delle volte alcuni messaggi vengono trasmessi in modo implicito e inconsapevole. Fin da piccole le donne si abituano a essere attente ai bisogni dell’altro e a dedicarsi alla sua cura. Si convincono che la realizzazione personale debba passare necessariamente per il matrimonio o i figli e che il fatto di restare nubili oltre una certa età sia sinonimo di fallimento e solitudine.

Quando lo scenario auspicato per le donne dalla società non si realizza, subentra facilmente il senso di colpa e questa situazione di “scarto dal modello” viene vissuta come un fallimento personale.

Quando una donna non ha un profondo rispetto per se stessa, non è in grado di esigerlo dagli altri. Se una donna non si ama così com’è, tende a idealizzare chiunque lo faccia al posto suo, fino ad arrivare a giustificarlo laddove le faccia del male.

“Se ti ama troppo non ti ama affatto.

I luoghi comuni legittimano la violenza. Liberatene”

Slogan della Giornata internazionale per la liberazione della violenza sulle donne

La mancanza di autostima e la conseguente tendenza a colpevolizzarsi sono sicuramente degli ostacoli nel percorso di realizzazione di una donna.

Eppure ciò che allontana di più le donne dalla loro felicità è una convinzione più subdola ma profondamente radicata nella cultura della nostra società: l’etica del sacrificio.

Spesso le donne tendono a credere che sia possibile far felice chi amano abdicando alla loro felicità. L’amore per l’altro quindi segna una rinuncia all’amore verso se stessi. Si impara a stare male in nome di un presunto bene di coloro che si amano.

È un esempio di questa concezione di amore quello di una madre che metta completamente da parte il suo bene e la cura di sé per il proprio figlio. In questo modo la donna diventerà infelice e finirà per coltivare sentimenti di rassegnazione o di rancore verso la vita. L’insoddisfazione della madre finirà inevitabilmente per pesare sul bambino.

Il fatto che sia possibile ottenere il bene dell’altro senza occuparsi del proprio è un’illusione che porta molta sofferenza nella nostra vita. In realtà è vero il contrario: è possibile fare del bene agli altri solo se si sta bene. La nostra felicità e quella degli altri sono strettamente connesse e l’una non può prescindere dall’altra.

La sfida delle donne

La grande sfida che il nuovo millennio pone alle donne è quella di trasformare il problema di mancata consapevolezza del proprio valore in un obiettivo di sviluppo.

La sensibilità che caratterizza ogni donna che è in grado di mettersi nei panni dell’altro per proteggerlo, se correttamente utilizzata, è una grande risorsa.

Proprio partendo dalla scoperta dei propri punti di forza, la donna è chiamata, per le sue doti innate che la rendono particolarmente idonea alla protezione della vita, ad accompagnare coloro che ama attraverso un periodo storico di cambiamenti rapidi e profondi svolgendo un ruolo di guida. E tutto ciò senza rinunciare alla propria realizzazione, perché la sua felicità non può che andare in parallelo con quella dei suoi affetti.

Sibilla Ceccarelli