Potenziare l’autostima per instaurare relazioni felici e appaganti

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Potenziare l’autostima per instaurare relazioni felici e appaganti. Una giornata di formazione al Centro Antiviolenza Erize per allenare l’autostima e la cura di sé

Lo scorso 4 maggio, la Psicologa e Psicoterapeuta Rita Zumbo ha tenuto un seminario esperienziale presso il centro antiviolenza M. A. Erize sull’autostima.

Abbiamo già visto nei precedenti incontri come la bassa autostima accomuni sia il narcisista che il dipendente affettivo: Il dipendente affettivo crede di non essere “abbastanza” da meritare amore, mentre il narcisista non è in grado di tollerare che venga messa in discussione in qualche modo la sua persona. Entrambi, quindi, sono dipendenti dall’approvazione altrui e non sono in grado di accettare e accogliere loro stessi così come sono, con pregi e difetti.

Per superare tali disturbi, quindi, è necessario lavorare sull’amore e il rispetto che ognuno di noi nutre verso se stesso.

Aumentare l’autostima diventando più sicuri e consapevoli di se stessi è un passaggio fondamentale per lasciare alle spalle relazioni disfunzionali causa di tanta sofferenza e iniziare un nuovo capitolo della propria vita.

Come fare?

Per prima cosa iniziando a prendersi cura di se stessi, perché la cura è l’inizio della guarigione.

“La verità è che l’unica persona con cui passeremo tutta la nostra vita siamo noi stessi”. (cit)

Prendersi cura vuol dire nutrire qualcuno con un’attenzione amorevole; proprio come faremmo con un bambino che vogliamo far crescere sano o con una pianta che vogliamo rendere rigogliosa.

Prima di esplorare il concetto della cura di sé occorre però chiarire cosa si intende per autostima, parola diventata ormai di uso comune ma di cui spesso non si conosce il vero significato.

L’autostima

Già scomponendo la parola auto-stima, possiamo comprendere come essa faccia riferimento a una valutazione che ogni individuo compie di se stesso e come in realtà non abbia nulla a che fare con la stima altrui, proveniente dall’esterno. Eppure, una caratteristica di chi ha una bassa autostima è proprio quella di far dipendere l’idea che ha di sé dall’approvazione degli altri.

Ognuno di noi, nell’arco della propria vita, si forma un concetto di sé che è soggettivo, cioè non corrisponde necessariamente alla realtà oggettiva. Ad esempio, una persona potrebbe essere convinta di non essere brava nel suo lavoro nonostante abbia continue dimostrazioni dall’esterno delle sue ottime capacità e viceversa.

L’autostima ha una serie di corollari ad essa collegati; allenando l’autostima, infatti, è possibile sviluppare:

  • l’autocontrollo, ovvero la capacità di controllare le emozioni;
  • la fiducia in se stessi;
  • l’autoregolazione, cioè la padronanza dei propri comportamenti;
  • il senso di autoefficacia, cioè la consapevolezza circa l’efficacia dei propri comportamenti;
  • l’autorealizzazione, ovvero la spinta a realizzare se stessi nell’ambito di un progetto di vita che punti alla felicità.

Possibili cause di una scarsa autostima

A formare l’idea che ognuno ha di sé contribuiscono le relazioni con le figure genitoriali e le successive esperienze di vita.

Ogni bambino, per sviluppare una solida autostima, deve sentirsi approvato dai genitori. Se questo non avviene, la necessità di approvazione altrui non finirà con il periodo dell’infanzia ma resterà una costante nella vita dell’individuo. Tale dinamica lo renderà di fatto dipendente dall’accettazione esterna, facendo entrare una grande sofferenza nella sua vita.

L’autostima, infatti, riflette la valutazione operata dall’individuo delle sue esperienze e comportamenti passati e questa influenza i suoi comportamenti futuri. Se ad esempio fin da piccoli ci hanno continuamente ripetuto i nostri difetti senza mai darci conferme positive, è probabile che finiremo per convincerci di essere “sbagliati” e leggeremo tutte le successive esperienze in chiave negativa, trovando in esse conferma della nostra presunta inadeguatezza. Questa convinzione negativa, inoltre, ci predisporrà a mettere in atto comportamenti che faranno sì che nella nostra vita si ripetano situazioni che confermino tale idea.

In altre parole, l’autostima è la valutazione del nostro concetto di sé, che è dato dal rapporto tra come percepiamo noi stessi, cioè il cosiddetto sé percepito e il sé ideale.

Il sé ideale corrisponde al modo in cui ognuno di noi vorrebbe che gli altri lo vedessero. Esso è legato alle esperienze dell’infanzia e rispecchia le aspettative dei genitori. Per fare un esempio, se un genitore ha cresciuto il proprio figlio con l’aspettativa che debba essere sempre il migliore della classe e diventare un grande professionista, il ragazzo dovrà confrontarsi durante la crescita con un sé ideale difficile da raggiungere e questo lo porterà a vivere come un enorme fallimento ogni banale difficoltà scolastica incontrata lungo il percorso.

La mancanza di autostima, quindi, è spesso il risultato di un grande divario tra come pensiamo di essere (sé percepito) e come vorremmo essere (sé ideale). Parlo di quella costante sensazione di non essere mai abbastanza, nei vari ambiti della vita, di non raggiungere mai un ideale di perfezione, a prescindere dai risultati e feedback positivi che possono arrivare dall’esterno.

Viceversa, più i due concetti di sé percepito e di sé ideale coincidono, più possiamo sperimentare una solida autostima.

Altre volte, invece, la scarsa autostima può essere causata da una distorsione nel modo di percepire se stessi: non sempre, infatti, il sé reale, cioè chi siamo oggettivamente, e il sé percepito, cioè la nostra idea di noi, corrispondono. Ad esempio, un individuo affetto da anoressia, può arrivare a guardarsi allo specchio e vedersi grasso nonostante sia gravemente sottopeso.

La resilienza

Abbiamo visto come la mancanza di autostima può dipendere dalle relazioni instaurate con le figure genitoriali durante l’infanzia. Eppure, come è possibile spiegare che, a parità di situazione familiare difficile, alcune persone presentano problemi di autostima e altre no?

La risposta risiede nel concetto di resilienza. La resilienza è la capacità di reagire in modo creativo e positivo agli eventi negativi.

Sono esempi di resilienza la pittrice Frida Kahlo o altri noti personaggi contemporanei come Alex Zanardi e Bebe Vio, le cui biografie dimostrano come siano stati in grado di affrontare gravi problemi fisici con grande slancio vitale.

Alcuni individui presentano questa capacità in forma innata, mentre altri la possono sviluppare successivamente nel corso della vita. La buona notizia è che è possibile allenarla, cominciando a guardare ad ogni difficoltà come ad un’occasione di crescita personale.

L’amore verso se stessi

Se è vero che le esperienze del passato possono aver avuto un impatto negativo sulla nostra autostima, questo non vuol dire che non sia possibile lavorare su noi stessi per cominciare a volerci bene e accettarci così come siamo.

Avere una solida autostima, infatti, non significa arrivare al proprio sé ideale, ma vuol dire accettare di non poter raggiungere una perfezione che di fatto non esiste.

Amare se stessi vuol dire nutrire profondo rispetto verso la propria persona, malgrado i difetti e le fragilità. Solo quando accettiamo noi stessi per quello che siamo, possiamo trasformare positivamente degli aspetti di noi e crescere. Accettare infatti non equivale a rassegnarsi passivamente, bensì ad accogliere amorevolmente.

Come già detto, i problemi di autostima sono connessi alla ricerca di approvazione dall’esterno.

Ogni individuo adulto dovrebbe invece iniziare a cercare la propria approvazione, senza più preoccuparsi di quella che proviene dall’esterno. La nostra felicità, infatti, dipende solo da noi.

Se desideriamo un cambiamento, questo deve necessariamente partire dall’interno.

Come facciamo a sentirci amati se noi per primi non amiamo noi stessi?

Se aumenta la stima e l’amore che nutriamo per la nostra persona, gradualmente le relazioni che instaureremo rispecchieranno questo cambiamento.

Per compiere questo passaggio occorre per così dire “genitorializzarsi”, cioè diventare genitori benevoli di se stessi, senza restare ancorati a quella approvazione che forse non c’è stata durante l’infanzia.

Cominciamo quindi a domandarci se approviamo noi stessi e quello che siamo e che facciamo nella nostra vita. Più che chiederci se gli altri ci accettano, rivolgiamo a noi stessi questi interrogativi:

Chi sono? cosa desidero per la mia vita?

Quando cominciamo a essere più consapevoli della persona che siamo, diventiamo più centrati e in contatto con i nostri bisogni e desideri. In questo modo gli altri inizieranno a rispettarci e amarci di più, proprio come facciamo con noi stessi.

La cura di sé

Il primo passo per allenare l’autostima è prendersi cura di sé. Iniziare a far caso a quanto tempo durante la giornata dedichiamo a noi e a ciò che ci fa stare bene. Può trattarsi anche di piccoli gesti quotidiani e brevi momenti di felicità, come ad esempio fare una passeggiata all’aria aperta, trascorrere del tempo con gli amici oppure dedicarsi a un hobby. Siamo tutti diversi e ognuno ha i suoi personali modi per stare bene. Occorre trovarli e ritagliarsi uno spazio e un tempo per coltivarli sempre di più.

Prendersi cura di se stessi significa volersi bene. Solo curandoci possiamo guarire le ferite del passato. La cura di sé ha un vero e proprio “effetto volano” sull’autostima.

Il prossimo appuntamento formativo si terrà sabato 18 maggio e sarà dedicato alla manipolazione affettiva.

 

Sibilla Ceccarelli – Coach, in collaborazione con PsicologheLab

La dipendenza affettiva spiegata attraverso il mito della Ninfa Eco.

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La dipendenza affettiva spiegata attraverso il mito della Ninfa Eco. Una giornata di formazione al Centro Antiviolenza Erize per guardarsi dentro e riconoscere, con ironia e amore verso se stesse, le proprie fragilità e le risorse per affrontarle.

Lo scorso 23 marzo, la Psicologa e Psicoterapeuta Rita Zumbo ha tenuto un interessate seminario esperienziale presso il centro antiviolenza M. A. Erize sulla dipendenza affettiva.

La giornata è iniziata con il racconto del mito di Eco e Narciso. La mitologia ha offerto preziosi spunti per spiegare in modo semplice e intuitivo fenomeni complessi come i disturbi della sfera affettiva.

Il mito narra la storia del bel Narciso, iperprotetto dalla madre e incapace di amare qualcuno all’infuori di se stesso e della Ninfa Eco, innamoratasi perdutamente di lui, che si autodistrugge fino a perdere la potenza della sua bella voce a forza di invocare colui che non vuole affatto ascoltarla.

Eco e Narciso, per paradosso, sono due facce della stessa medaglia. Entrambi sono simboli eterni dell’incapacità di amare davvero, di raggiungere una profonda intimità con il partner, di vedere l’altro per la persona che è realmente, con pregi e difetti.

La Ninfa Eco e La dipendenza affettiva

La Ninfa Eco ritrae fedelmente la figura del dipendente affettivo.

Nel mito, la bella Eco arriva quasi a perdere la voce dopo aver invocato a lungo e invano Narciso, di cui era follemente innamorata, che non aveva in realtà nessun interesse ad ascoltarla.

La mitologia offre un’efficace metafora per descrivere quelle relazioni in cui un uomo o una donna cercano disperatamente la considerazione e l’amore del partner, il quale invece è troppo preso da se stesso per accorgersi di loro.

Con la flebile voce che le resta, Eco è in grado solo di ripetere (l’ultima parte di) ciò che dice l’altro, ma non può più far sentire la propria voce.

L’esito della dipendenza affettiva è dunque l’accondiscendenza e l’asservimento completo al partner. Il prezzo da pagare per ricevere sicurezza affettiva però è molto alto: occorre rinunciare alla propria identità e sacrificarla in nome di un amore che genera sofferenza.

“Non merito di essere amato”. Ecco la convinzione che condiziona la vita sentimentale del dipendente affettivo.

L’insicurezza di chi sviluppa una dipendenza affettiva nasce generalmente da una mancanza di amore, di una base affettiva sicura, che ha caratterizzato il periodo dell’infanzia. Le ragioni per cui il dipendente affettivo non si è sentito abbastanza amato possono essere molteplici: casi di abusi psicologici da parte di genitori alcolisti o tossicodipendenti, madri affettivamente assenti perché alle prese con lutti familiari o con problemi di depressione ecc.

Per sopperire alla mancanza di affetto vissuta, il dipendente affettivo tende a iper responsabilizzarsi. Cerca disperatamente di guadagnare amore facendosi in quattro per gli altri e dimostrandosi disponibile e compiacente. Generalmente ha difficoltà a gestire le proprie emozioni da cui a volte si sente sovrastato e necessita di continue conferme da parte degli altri.

Il dipendente affettivo porta con sé un fardello fatto di senso di inadeguatezza e paura di essere abbandonato, essendo convinto nel profondo di non essere degno d’amore. Per questo motivo, avverte la perenne urgenza di colmare un vuoto, anche a costo di accontentarsi delle “briciole” e di adattarsi a partner anaffettivi.

Il dipendente affettivo, pur di evitare la sofferenza della non amabilità e l’abbandono, può in certi casi arrivare a tollerare forme di violenza psicologica o fisica da parte del partner.

Quando si è dipendenti a livello affettivo si è costantemente focalizzati sui bisogni dell’altro, che si cerca di accontentare fino al punto di sacrificare se stessi e la propria felicità.

Eppure, il fatto di poter dare a qualcun altro quell’amore che non si nutre per se stessi è solo un’illusione. Come si può dare ad altri ciò che non si ha?

Contrariamente ai luoghi comuni sull’argomento, nelle relazioni interessate dalle dinamiche di narcisismo e dipendenza affettiva non esiste una netta distinzione tra “buoni” e “cattivi” o tra “vittima” e “carnefice”. Mentre la dipendente affettiva Eco viene manipolata dal Narcisista, a sua volta “utilizza” quest’ultimo in modo strumentale alla soddisfazione del suo bisogno di colmare un vuoto affettivo e allontanare la paura dell’abbandono.

Abbandonare i “copioni” per diventare libere

È stato interessante scoprire come tratti di narcisismo e di dipendenza affettiva siano presenti in ognuno di noi e come questo sia perfettamente normale e fisiologico.

Può accadere però di scoprirci a interpretare in ogni relazione d’amore un ruolo rigido e immutabile, quello della persona sensibile ed empatica, vittima di un partner freddo e distaccato.

La ricorrenza delle stesse dinamiche all’interno di ogni relazione vissuta non può essere casuale, ma dipende senz’altro dai nostri pensieri e comportamenti.

Il primo passo per smettere di identificarsi con un ruolo fisso che ci intrappola in una serie di storie disfunzionali è quello di diventarne consapevoli.

Troppo spesso, quando la fine di una relazione porta con sé una grande sofferenza, si tende a voler capire a tutti i costi le motivazioni che hanno indotto il partner a comportarsi in un determinato modo.

Se si ha una bassa autostima, poi, si tende a pensare a se stessi solo in termini negativi, cercando di rintracciare quali sono stati gli errori che hanno portato a quell’epilogo.

Per smettere i panni della Ninfa Eco, occorre invece spostare la propria attenzione dall’altro per rivolgerla in modo amorevole verso noi stesse.

Per imparare a prenderci cura di noi, occorre cominciare a porci alcuni interrogativi a cui probabilmente all’inizio non sarà facile dare una risposta. Se per lungo tempo ci si è preoccupati solo delle esigenze dell’altro, vuol dire che probabilmente non si è molto abituati a interrogarsi su quale sia il proprio bene.

Cos’è che ci rende felici? Qual è il nostro progetto di vita? Quali sono i nostri punti di forza che ci rendono persone uniche e speciali?

Nel momento in cui riscopriamo la nostra identità, diventiamo consapevoli delle risorse su cui possiamo contare per trarre dalla sofferenza nuova forza e saggezza.

Il prossimo appuntamento formativo si terrà il 13 aprile e sarà dedicato al narcisismo.

La giornata di formazione al Centro antiviolenza M. A. Erize è stata permeata da un clima di sorellanza e di profonda umanità. È stato bello conoscere tante donne coraggiose e desiderose di mettersi in gioco per crescere insieme.

Sibilla Ceccarelli – Coach, in collaborazione con PsicologheLab

 

“Accettiamo l’amore che pensiamo di meritare” Dal film “Noi siamo infinito” di Stephen Chbosky

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“Accettiamo l’amore che pensiamo di meritare” Dal film “Noi siamo infinito” di Stephen Chbosky. In altre parole, l’amore che riceviamo dagli altri spesso rispecchia l’amore che nutriamo verso noi stessi.

“Accettiamo l’amore che pensiamo di meritare”.

Dal film “Noi siamo infinito” di Stephen Chbosky.

Una volta un’amica mi ripeté questa frase di un film che l’aveva colpita molto e da subito mi accorsi di quanto fosse vera.
C’è una corrispondenza diretta tra l’amore che pensiamo di meritare e quello che siamo disposti ad accettare dagli altri.
Se siamo convinti di non meritare amore e di essere “sbagliati”, di avere una miriade di difetti che rendono qualunque persona che scelga di starci vicino una sorta di benefattore da non farsi scappare, finiremo per perdere di vista il nostro benessere e ci incastreremo in storie d’amore che ci fanno soffrire.
Ci accontenteremo passivamente di relazioni d’amore che ci stanno “strette” o che ci provocano dolore, pur di non perdere la persona che abbiamo accanto. Ci faremo governare dalle logiche del bisogno e della scarsità che ci fanno credere che sia meglio stare con una persona che non ci fa stare bene piuttosto che restare da soli. Senza neanche rendercene conto, abbasseremo l’asticella del rispetto che esigiamo dall’altro e arriveremo ad accettare dal partner anche “le briciole”.

L’amore verso se stessi

Per molti di noi l’amore incondizionato verso se stessi non è affatto scontato. Molte volte può rappresentare il punto di arrivo di un percorso di evoluzione personale.

“Merito davvero di essere amato?”

Spesso questo interrogativo implicito è cruciale nella nostra vita. La risposta – pressoché inconsapevole –  influenza in modo determinante il modo in cui viviamo il rapporto con noi stessi e con gli altri.

Quando non percepiamo il valore che nasce dalla nostra unicità ed esiste a prescindere dai riconoscimenti esterni, facciamo entrare una grande sofferenza della nostra vita.

Sperimentiamo un costante senso di mancanza e non ci sentiamo degni di essere felici, neppure in una storia d’amore.

Cominciamo a pensare di non essere “abbastanza” in ogni ambito della nostra vita e diventiamo schiavi dell’approvazione altrui, rinunciando di fatto alla nostra libertà.

Se nel profondo di noi stessi ci sentiamo fondamentalmente “sbagliati” e “difettosi”, in ogni circostanza cercheremo l’errore dentro di noi e non negli altri. Tenderemo quindi a giustificare qualunque comportamento negativo nei nostri confronti.

La mancanza di autostima rappresenta sicuramente un ostacolo alla legittima aspirazione di molti di noi di vivere una relazione d’amore che ci faccia stare bene.

Questo è il motivo per cui è così importante sentire nel profondo il proprio valore. Il rispetto e la considerazione che riceviamo dagli altri infatti, spesso rispecchiano quelli che riserviamo a noi stessi.

Il valore che ci attribuiamo ci torna dall’esterno

Proprio partendo dalla scoperta e dalla valorizzazione dei propri punti di forza e perseguendo la realizzazione personale in ogni ambito della vita, è possibile allenarsi a percepire il proprio valore personale. Solo in questo modo infatti è possibile vivere una vita piena e appagante, a prescindere dalla presenza di un partner.

Grazie a un percorso di Coaching è possibile acquisire una piena consapevolezza delle proprie potenzialità e di come è possibile utilizzarle per raggiungere i propri obiettivi. In questo modo sarà possibile star bene con se stessi anche se si è single. Percepirsi come “un frutto intero”, come individui completi e centrati su se stessi è la necessaria premessa per essere pronti a vivere finalmente una relazione d’amore positiva e gratificante.

Quando non percepiamo il nostro valore personale, ci sentiamo incompleti e bisognosi e abbiamo l’esigenza di trovare un partner a tutti i costi. In questi casi tendiamo ad accontentarci della prima situazione che ci capita.

Nel momento in cui invece cominciamo a dare valore a noi stessi, questo valore ci tornerà dall’esterno.

Saremo pienamente consapevoli del fatto che la nostra vita può essere bella e gratificante anche se siamo single.

Sceglieremo di iniziare una relazione solo se sentiremo di aver incontrato una persona davvero meritevole di starci accanto.
Finalmente non saremo più disposti ad accettare comportamenti che ci fanno soffrire pur di non perdere una persona. A quel punto non accetteremo più nulla di diverso da ciò che ci fa stare bene.

Sibilla Ceccarelli – Life & Business Coach

sibilla@coach2coach.it

Le relazioni: attenzione a quelle pericolose

Le relazioni

Le relazioni. Fate attenzione a quelle pericolose, a quelle che possono sfociare in violenza fisica e psicologica, a quelle che lasciano segni permanenti.

Le relazioni costituiscono spesso uno specchio della nostra vita, sono senza dubbio un indicatore importante di chi siamo e di come stiamo.

“Tu sei la somma delle cinque persone che frequenti di più”, diceva Jim Rohn e, dal punto di vista empirico non ho ancora mai trovato una prova contraria a questa meravigliosa frase.

Se ci fai caso in ogni relazione, sentimentale, amicale o professionale, ti imbatti sempre in situazioni simili. Una mia cliente, per esempio, ha sempre avuto uomini che la trattavano male. Era talmente abituata a essere denigrata dai suoi partner che, una volta conosciuta una persona che la riempiva di ciò che voleva, ovvero presenza e affetto, era impaurita e insicura.

Il tuo livello di autostima nelle relazioni è strettamente correlato a come queste ti fanno sentire.

Le relazioni contengono dei segnali cui dovresti prestare attenzione in quanto ti indicano la loro potenziale tossicità:

  • Ti umilia in pubblico.
  • Ti accusa di essere colpevole della sua rabbia.
  • Se la tua autostima da quando stai con lui/lei è diminuita.
  • Quando la sua gelosia condiziona i tuoi comportamenti, limitando la tua libertà.
  • Se, quando si arrabbia, si sfoga con violenza sugli oggetti.
  • Se ti fa sentire sbagliata/o.
  • Quando non dici quello che pensi per paura di farlo/a arrabbiare.

Essere umiliati in pubblico è brutto, indipendentemente da chi lo fa, ma se a farlo è il nostro partner allora diventa terribile. La situazione peggiore quando non reagisci all’umiliazione in quanto in questo modo non solo legittimi quanto detto ma, di fatto, alleni il tuo partner a farlo ancora. Se, per esempio, il tuo partner ti accusasse davanti ad amici e conoscenti di essere una frana ai fornelli, o peggio a letto, e tu non rispondessi allora il rischio di credere a quanto detto aumenta in modo esponenziale. L’umiliazione pubblica, così come quella detta tra le mura di casa, deve essere immediatamente bloccata.

I femminicidi costituiscono solo la punta dell’iceberg di un sottobosco fatto di violenze fisiche e psicologiche.

Le relazioni fatte di violenza sono tantissime. Ti sarai senz’altro chiesto come sia possibile finire in una relazione violenta, ma è più facile di quanto credi. I soggetti violenti, infatti, nascondono la loro indole dietro un’apparenza dolce e accogliente. Nessuna relazione violenta è iniziata con uno schiaffo, anzi normalmente passa molto tempo prima che si manifesti un accenno di violenza, che può essere uno spintone o uno schiaffo.

A questo seguono milioni di scuse, regali e la vittima può essere indotta a pensare che l’episodio violento sia stato solo un incidente, visto che non era mai accaduto prima. Eppure, se non si interrompe immediatamente la relazione, questo è l’inizio dell’inferno. La violenza aumenterà sempre di più con conseguenze facilmente immaginabili. La cosa orribile è che il soggetto violento accuserà la vittima di essere la causa dei suoi scatti violenti.  Una frase tipica è “guarda cosa mi costringi a fare!”. Le relazioni di questo tipo hanno degli effetti ovviamente devastanti sull’autostima.

Tuttavia non esiste solo la violenza fisica. Un partner rabbioso, aggressivo e facile all’ira è altrettanto pericoloso. Averci a che fare può risultare altamente deleterio per il nostro benessere e la nostra autostima. Se, per quieto vivere, inizi a non dire quello che pensi o a limitare le cose che fai per paura di farlo arrabbiare allora inconsapevolmente lo legittimerai. Questo aumenterà in te un senso di frustrazione e infelicità unitamente a un forte abbassamento della tua autostima.

Le relazioni sono minacciate da un altro grave pericolo, la gelosia.

Personalmente non trovo un unico aspetto positivo della gelosia in un rapporto. La gelosia è strettamente legata al possesso. Chi è geloso vuole avere il partner tutto per se e ha paura che qualcuno possa portarglielo via. Ogni cosa è vista con sospetto, il telefono del partner è un nemico perché potrebbe nascondere minacce e segreti.

Se noti che il tuo partner inizia a farti dei veri e propri interrogatori sui ciò che hai fatto in sua assenza, se vuole controllare il tuo telefono o le tue mail, allora hai un problema. La tua privacy è sacra! Non metterlo subito in chiaro ti farà correre il rischio di ritrovarti in una relazione tossica in cui la tua libertà potrebbe essere fortemente limitata.

Ovviamente non è sempre facile prestare attenzione a questi elementi se hai avuto dei modelli sbagliati. Se i tuoi genitori hanno o avevano una relazione negativa, fatta di litigi, di mancanza di rispetto, di tradimenti, allora tu potresti aver interiorizzato questo modello.

Fermati e ragiona sulla relazione dei tuoi genitori e domandati se hai mai ricalcato quel modello oppure se hai tentato di intraprendere la strada diametralmente opposta. Ora chiediti se questo tipo di relazione è quella che vorresti davvero, se è quella che corrisponde ai tuoi valori, alle tue emozioni.

Esistono persone che crescono in contesti dove la violenza domestica è all’ordine del giorno e che credono che non sia possibile vivere in altro modo.

Altre persone invece hanno avuto a che fare con persone che ne hanno devastato l’autostima, che le hanno permanentemente fatte sentire inferiori, inadeguate e, in generale, sbagliate.

Per avere una relazione sana devi innanzitutto allontanare i pericoli. La tua vita deve essere come una discoteca, la tua discoteca. Sei tu a decidere cosa fare per stare bene e, soprattutto, sei tu a decidere chi entra e chi no e quali sono le caratteristiche per essere ammesso nella tua vita. Le situazioni di cui ti ho parlato sono subdole e possono colpire chiunque e quindi presta attenzione a questi segnali. Se, leggendo questo articolo, hai notato che uno o più elementi di cui ho scritto sono già presenti nella tua relazione allora devi domandarti se il tuo partner è davvero giusto per te.

Se hai dei dubbi oppure se vuoi chiedere un consiglio, scrivimi pure. Aiutarti sarà un piacere.

Patrick vom Bruck

patrick@coach2coach.it