L’8 marzo regalati uno sbaglio

Come uscire dal perfezionismo femminile

Avere grandi aspirazioni e voler dimostrare il proprio valore è di per sè qualcosa di positivo  e se incanaliamo le energie nella giusta direzione può anche portarci ad un’eccellenza funzionale che una volta raggiunta genera soddisfazione, entusiasmo e autoefficacia.

Quando gli obiettivi diventano però  troppo sfidanti e soprattutto quando giudichiamo il nostro valore in base alla nostra performance, se non riusciamo a fare tutto (come è naturale che sia), sentiamo di aver fallito, di non essere state capaci, di aver “scontentato” qualcuno.

Non possiamo delegare perchè gli altri potrebbero sbagliare! Nascondiamo errori per paura del giudizio e abbiamo sempre la percezione che avremmo potuto fare meglio e che se non è tutto perfetto allora è un fallimento.

Perdiamo così il contatto con la nostra parte più intima, con il nostro intuito, con ciò che davvero conta, perchè diamo priorità a quello che dobbiamo dimostrare anzichè a ciò che conta e ci fa stare bene.

Procrastiniamo o rinunciamo a ciò che potrebbe renderci felici finchè non raggiunge il nostro standard di perfezione che alza però l’asticella prima ancora di aver raggiunto l’obiettivo lasciandoci sempre con l’acquolina in bocca.

Ho voluto la perfezione e ho rovinato ciò che andava bene” ci ricorda Monet.

Se quando le cose vanno bene parliamo di successi mentre quando vanno per il verso sbagliato parliamo di fallimento non lasciamo spazio alla opportunità di apprendere dagli errori.

E quando non esistono sfumature, o si vince o si perde tragicamente . Gli errori non sono contemplati e quando arrivano decretano il fallimento.

Ci identifichiamo talmente tanto in essi che paralizziamo i nostri comportamenti e ancor prima le nostre idee e le nostre emozioni.

Se invece proviamo ad accostare il termine “fallimento” a situzioni e cose e capiamo che non si riferisce alle persone, tutto può cambiare.

Secondo uno studio che ha indagato sui vari aspetti del perfezionismo, condotto dalla Dalhousie University e dalla York St John University su 25.000 partecipanti,è emerso come i due terzi fosse rappresentato da donne.

Per celebrare la ricorrenza dell’8 marzo  dunque non regaliamoci un altro incarico, un’altra etichetta da affibbiarci, non abbiamo bisogno di complimenti su quanto siamo multitasking.

Regaliamoci  il  diritto di sbagliare!

Diffondiamo una nuova cultura nel nostro piccolo, tra madre e figlia, tra sorelle o semplicemente tra colleghe, facciamo pratica di piccole imperfezioni ogni giorno, alleniamo il coraggio di essere imperfette!

Concediamoci nuove abitudini che ci facciano uscire dai rigidi schemi mentali che ci autoimponiamo: ritardiamo quella consegna a lavoro, cambiamo strada per andare a casa, chiamiamo la babysitter e dedichiamoci quell’ora, quel film, quel libro che non serve a farci imparare una nuova task ma a viaggiare con la fantasia, cambiamo posto a tavola, ridiamo di noi, facciamo ridere gli altri dei nostri capelli arruffati; portiamo fuori il cane in pigiama; il pane per oggi lo comprerà qualcun altro, il trono da perfetta lo possiamo togliere e sentire quanto pesava.

La nostra testa ora può concedersi un pò di leggerezza tra le nuvole .

Possiamo gioire anche di un dolce bruciacchiato, di una pizza lievitata male, possiamo dormire ugualmente senza aver rifatto il letto e cucinare quel piatto anche se manca un’ingrediente .

Possiamo tutto non perchè siamo multitaskin ma perchè siamo gioia e tristezza, serietà e leggerezza, precisione ed errore.

Un percorso di coaching può aiutartci a ritrovare la strada nella nebbia, facendo scegliere a noi il mezzo da utilizzare, che sia un auto, un pullman o una moto.

Riscoprire ciò che conta davvero e fissare obiettivi adeguati è il regalo che dobbiamo farci. Null’altro.