Emozioni: inutili interferenze o alleate?

Come rendere le emozioni nostre amiche, accogliendole senza giudizio e ascoltando il loro importante messaggio di benessere

Spesso quando proviamo delle emozioni tendiamo a giudicarle come inutili o sbagliate e a reprimerle.

“Non devo essere triste, devo pensare positivo”… “è sbagliato che io mi arrabbi così”.

La nostra testa si riempie di pensieri di questo tipo, nel tentativo di allontanare a tutti i costi un’emozione che giudichiamo scomoda, purtroppo con scarsi risultati.

Da qui la fioritura di corsi e manuali self-help per imparare a gestire le emozioni “spiacevoli” quali rabbia, paura ecc., che finiscono per essere viste come dei cavalli imbizzarriti da domare.

Nel senso comune, ragione e sentimento sono due mondi contrapposti e inconciliabili. Da questo dualismo che ha origini antiche, nasce l’errata convinzione che per stare bene nei vari ambiti della nostra vita sia necessario mettere a tacere le emozioni e usare la razionalità.

Essere sensibili diventa sinonimo di fragilità e poca lucidità, quindi di performance deludenti.

Ma è davvero così?

La prospettiva delle neuroscienze

Le più recenti scoperte scientifiche in realtà hanno valorizzato il nostro modo emotivo smentendo questa contrapposizione. Le emozioni infatti hanno una funzione evolutiva in quanto migliorano la capacità dell’uomo di adattarsi all’ambiente. La paura ad esempio può essere utile quando ci permette di scampare un pericolo, la rabbia invece può fornirci l’energia necessaria a superare un ostacolo che ci allontana dal nostro benessere e così via.

In sostanza le emozioni, più che una mandria di cavalli indomabili, potrebbero essere considerate come fedeli destrieri in grado di portarci verso le mete desiderate. Dipende tutto dal nostro modo di viverle.

La mente mente, il corpo no

Mentre, parafrasando una celebre frase, la mente può mentirci, il corpo non può che dire la verità; ha infatti una saggezza intrinseca che ci permette di connetterci alla nostra vera essenza.

Le emozioni sono proprio come una creatura mitologica a metà tra due mondi, avendo una doppia natura: da un lato corporea, in quanto sono responsabili di cambiamenti fisiologici (es. sudorazione, aumento della pressione ecc.), dall’altro cognitiva, essendo influenzate dall’interpretazione mentale che diamo allo stimolo ambientale.

Per loro natura sono passeggere, come un’onda che gradualmente sale, raggiunge un apice e scompare poi di nuovo nel mare.

in condizioni normali, come l’emozione si è manifestata spingendoci a un determinato comportamento, si esaurisce e il corpo torna alla sua normale situazione di equilibrio.

La convinzione circa il potenziale esplosivo e dannoso delle emozioni nasce dal fatto che in alcuni casi capita di restare intrappolati in un’emozione per un periodo più lungo rispetto al suo fisiologico esaurimento. Vediamo come mai avviene questo fenomeno.

Avete mai sentito parlare di “ruminazione mentale”?

In un certo senso possiamo dire che siamo quello che pensiamo.

I nostri pensieri infatti condizionano costantemente le nostre emozioni e i nostri comportamenti.

Può accadere che ciò che pensiamo alimenti un’emozione come ad esempio la rabbia, intrappolandoci in un loop dannoso per il nostro benessere.

In questi casi non è tanto l’emozione a tenerci incastrati e confonderci, ma i pensieri che facciamo circa l’evento accaduto o l’emozione stessa.

Se ad esempio restiamo arrabbiati per giorni per il comportamento di una persona che ci ha fatto soffrire, magari perdendo tranquillità anche a lavoro, non è stata la rabbia a generare il circolo vizioso, ma il nostro alimentare la rabbia con continui pensieri “ruminanti” e ripetitivi sull’interpretazione di quanto accaduto.

I pensieri “ruminanti” non fanno altro che gettare benzina sul fuoco, nutrendo uno stato d’animo che crea un profondo malessere.

L’”effetto pentola a pressione”

In altri casi invece, nel tentativo di reprimere un’emozione che consideriamo inaccettabile per noi stessi o per gli altri, accumuliamo energia che non trova espressione, fino a sperimentare quello che possiamo definire “effetto pentola a pressione”. Ci capita a quel punto di sbottare improvvisamente, spesso senza un’apparente buona ragione, con effetti pesanti sulle nostre relazioni.

Qual è allora il modo più funzionale di vivere le emozioni?

Nella società purtroppo sono ben radicati molti stereotipi e pregiudizi sul mondo emotivo, come il fatto che gli uomini non debbano piangere, altrimenti sono deboli come “femminucce” oppure che una donna arrabbiata sia “isterica”. Queste convinzioni sono di ostacolo alla capacità di vivere le proprie emozioni in modo fluido e privo di giudizio.

Di fronte ad ogni emozione che proviamo abbiamo più possibilità:

  • Reprimerla e soffocarla;
  • agirla in modo automatico (ad esempio arrabbiandoci furiosamente con qualcuno e perdendo il controllo)
  • lasciarla fluire senza giudizio, chiedendoci cosa ci sta raccontando di noi e di quello che stiamo vivendo.

Ogni emozione vuole comunicarci qualcosa di importante per comprendere cosa ci fa stare bene e cosa ci fa del male. Ad esempio la tristezza ci comunica che stiamo perdendo qualcosa o qualcuno per noi importante, il disgusto ci racconta che qualcosa deve essere allontanato perché è nocivo per noi, la gioia ci spinge ad aprirci agli altri e così via.

Nel momento in cui giudichiamo l’emozione che stiamo provando come sbagliata o dannosa rischiamo di reprimerla e di non cogliere il suo importante messaggio.

Di fronte ad ogni emozione che sperimentiamo dunque è utile mettersi nella posizione dell’osservatore che accoglie quello che c’è senza giudicare. Solo in questo modo possiamo riconoscere e dare un nome all’emozione stessa, cogliendo l’importante messaggio di cui è portatrice.

“Non ci si libera di una cosa evitandola ma solo attraversandola” C. Pavese.

Alessandra Fioretti – Psicologa e Psicoterapeuta

Sibilla Ceccarelli – Life Coach

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